Tre rischi ignorati di mercato ribassista

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Nell’economia globale l’incertezza ha raggiunto il massimo livello dalla crisi finanziaria globale del 2008. Il mondo affronta molteplici sfide: l’aumento dell’inflazione, la fine dell’allentamento monetario, le interruzioni nella filiera, i lockdown in Cina e una tragica guerra in Ucraina.

Durante l’annuncio dei risultati del primo trimestre di JP Morgan Chase, il CEO Jamie Dimon ha indicato piani per costituire riserve data la maggiore probabilità di un rischio di ribasso derivante dall’impatto dell’elevata inflazione e del conflitto in Ucraina. Concordiamo con Dimon sul fatto che per affrontare l’incertezza macroeconomica sia necessario prepararsi.

Stranamente, però, il mercato azionario sembra incurante dei crescenti rischi macroeconomici, nonostante i numerosi campanelli d’allarme. I multipli di valutazione sono ben al di sopra della media a lungo termine, eppure i market strategist delle principali banche d’investimento prevedono che l’S&P 500 raggiungerà quota 5.200 entro la fine dell’anno, in rialzo del 25 per cento rispetto al recente prezzo di chiusura.

Di seguito indichiamo tre motivi che a nostro avviso inducono gli investitori a non scontare la possibilità di un mercato ribassista. In tale scenario, riteniamo che un portafoglio di azioni di qualità possa ridurre al minimo le minusvalenze.

1.    La valutazione e il consensus non integrano un margine di sicurezza per i crescenti rischi macroeconomici

Per l’S&P 500 il consensus prevede una crescita dell’EPS a 12 mesi del 10 per cento, con previsioni di utili societari che torneranno al loro trend pre-COVID entro la fine dell’anno. Le aspettative sono particolarmente rosee tra i titoli hyper growth, il segmento più speculativo del mercato. Dagli anni ’80, il numero delle società hyper growth, ossia in grado di sostenere una crescita delle vendite di oltre il 10 per cento all’anno per almeno cinque anni, è stato in media tra il 10 e il 15 per cento. Oggi, il consensus prevede che più di 70 società raggiungeranno questa impresa (Figura 1).

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I dati del consensus sulle società non energetiche sono a malapena cambiati negli ultimi tre mesi (Figura 2). In sostanza, il consensus prevede un ritorno alla normalità. Per ora il mercato ritiene che le difficoltà macroeconomiche non siano ingenti, ma vale la pena ricordare che durante le recessioni degli ultimi 30 anni gli utili sono diminuiti del 20-50 per cento.

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Per quanto concerne la valutazione, il mercato scambia a un multiplo P/E stimato di 19x rispetto alla media di lungo periodo di 16x. Nel 2018, ovvero quando il tasso dei Fed Fund era al 2,4 per cento, quindi prossimo all’attuale target della Fed, il mercato scambiava a un P/E di 14x, e durante la crisi finanziaria globale è sceso a 11x. Rispetto a tale periodo, oggi il sistema bancario è molto meglio capitalizzato, pertanto ci pare improbabile un tale calo. Tuttavia, a mo’ di esercizio, ipotizzando una correzione degli utili intorno alla mediana delle recessioni precedenti (25-30 per cento) e un’inversione dei multipli a 14x-16x, potrebbe avvenire una correzione del mercato pari al 30-40 per cento.

2.    Sebbene i dati del consensus siano rialzisti sulla crescita degli utili, storicamente non si sono dimostrati affidabili nell’indicare correzioni.

I mercati ribassisti non inviano preavvisi, solitamente serve un evento inatteso per decretare una correzione, come il fallimento di Lehman Brothers che ha segnato l’inizio della crisi finanziaria globale. La guerra in Ucraina e le sue conseguenze (ad esempio, l’impennata dei prezzi delle materie prime) avrebbero potuto rappresentare uno shock sufficiente a nostro avviso, ma i consumatori negli Stati Uniti continuano a spendere, il mercato immobiliare è contratto e le società mettono a segno utili in linea con le aspettative. Gli investitori basano le loro previsioni sulle tendenze recenti quindi, finché le statistiche economiche retrospettive rimarranno positive e i management aziendali confermeranno le loro stime, il mercato se la caverà.

Consigliamo però agli investitori di non rilassarsi troppo. Alcune società, infatti, appartenenti al segmento del mercato di bassa qualità iniziano a rivedere al ribasso le loro stime. Quelle senza potere di determinazione dei prezzi faticano a compensare l’aumento dei costi delle materie prime e le interruzioni nella filiera. Vestas, uno dei principali produttori di turbine eoliche, ha recentemente previsto margini prossimi al pareggio nel 2022. Nel segmento dei beni di consumo, i dati del consensus per Electrolux, uno dei principali produttori di elettrodomestici, sono scesi del 20 per cento dopo che la società ha comunicato risulti più deboli del previsto per il primo trimestre. Anche la trimestrale di Domino Pizza è risultata inferiore alle aspettative a causa della notevole pressione esercitata sulle attività di consegna dalla carenza di autisti per soddisfare la domanda.

Storicamente, i dati del consensus sono risultati inaffidabili nel prevedere i punti di inflessione. Abbiamo analizzato la relazione tra gli utili previsti e quelli effettivi negli ultimi 25 anni, calcolando il rapporto tra gli utili effettivi nei precedenti 12 mesi e quelli previsti. Un rapporto inferiore indica che gli utili effettivi si sono rivelati inferiori alle previsioni, in altre parole troppo ottimistici. (Figura 3). Segnaliamo due elementi interessanti che emergono dal seguente grafico. Il primo è che, in media, il rapporto è inferiore a 1. Il secondo è che la variazione del rapporto è più elevata prima delle recessioni e delle riprese (1999/2001; 2006/2008; 2017/2020).

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È impossibile prevedere quale evento innescherà una correzione del mercato, ma Mara Der Hovanesian, uno degli analisti investigativi di Vontobel e nostro «CSO» (Chief Skeptical Officer), ci ha messo in guardia sul volume crescente del debito corporate, in particolare nel mercato dei leveraged loan (debito high yield privato). Negli ultimi dieci anni, il mercato dei leveraged loan è triplicato fino a raggiungere circa USD 1.400 miliardi, mentre il più grande mercato di obbligazioni corporate è quasi raddoppiato fino a circa USD 10.000 miliardi nel 2019.

Mentre alle banche tradizionali sono stati posti dei limiti in termini di prestito e coefficiente di capitale a seguito della regolamentazione scaturita dalla crisi finanziaria globale, altri cosiddetti “prestatori ombra”, per lo più private equity, compagnie assicurative, fondi pensione e gestori CLO (investitori in prestiti professionali) hanno affrontato meno vincoli. Nel suo primo outlook annuale sui rischi, l’Office of the Superintendent of Financial Institution (OSFI), l’autorità di regolamentazione del sistema finanziario canadese, ha lanciato un allarme sull’aumento della dipendenza dal debito high yield e dai leveraged loan, compresi i prestiti covenant-lite, che presentano meno protezioni per i prestatori. Il rischio, secondo l’OSFI, è che in un mercato volatile tali asset siano più esposti agli aumenti dei costi di finanziamento, alle richieste di liquidità e alla propensione al rifinanziamento. Poiché gli investitori istituzionali (compagnie assicurative, fondi pensione, ecc.) sono i maggiori titolari di questa asset class, un’ondata di vendite di strumenti high yield potrebbe diffondersi ai mercati dei capitali nel loro complesso.

3.    I titoli value non sono così convenienti come si pensa

Le azioni di società di bassa qualità, note anche come titoli value poiché scambiano con un P/E più basso rispetto al mercato, hanno sovraperformato negli ultimi due anni, perché il mercato ha rivalutato la riapertura dell’economia dopo il COVID e ha considerato l’impatto dei tassi di interesse più alti sulle valutazioni. Sebbene i titoli value, in media, continuino a scambiare con uno sconto rispetto al mercato, tale sconto si è ridotto rispetto alla media di lungo periodo (Figura 4).

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Riteniamo che la sovraperformance dei multipli tra i titoli di qualità e quelli di bassa qualità diventerà meno rilevante per la performance relativa complessiva in un’economia stabile. La sovraperformance, pertanto, proverrà molto probabilmente dalla sovraperformance relativa (dividend yield + crescita degli utili). Tale situazione avvantaggia chi investe in titoli growth di qualità, che nel selezionare titoli si basa su rendimenti complessivi prevedibili piuttosto che sull’espansione dei multipli.

Se l’economia, però, piombasse in una recessione, con un impatto negativo sugli utili di consensus, gli utili delle società di qualità dovrebbero avere la meglio rispetto a quelli di società di bassa qualità, e il premio di valutazione tra titoli di alta qualità e value potrebbe non rivelarsi così ampio come indicano gli attuali multipli. Per illustrare meglio questo punto, abbiamo confrontato i multipli P/E di PepsiCo e Caterpillar prima e dopo la crisi finanziaria globale. Prima il titolo PepsiCo scambiava con un premio del 117 per cento rispetto a Caterpillar, dopo con un premio drasticamente ridotto pari al 20 per cento. Ma mentre i ricavi e i margini di Caterpillar si sono contratti rispettivamente del 37 per cento e di 700 pb in tale periodo, quelli di PepsiCo sono rimasti invariati. Così, PepsiCo ha evidenziato una notevole sovraperformance durante tale crisi, nonostante il suo multiplo P/E iniziale molto più elevato.

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I titoli di qualità si difendono meglio durante le recessioni

Le società di qualità tendono a presentare più potere di determinazione dei prezzi e una minore elasticità della domanda, il che può portare a una minore volatilità degli utili (Figura 6). Nel 1T22 Sherwin Williams (SHW), la principale società di vernici statunitense, ha messo a segno risultati migliori del previsto poiché il suo potere di determinazione dei prezzi ha più che compensato l’impennata dei costi delle materie prime. Rob Hansen, l’analista che si occupa di Sherwin Williams in Vontobel, spiega che il potere di determinazione dei prezzi è dovuto alla bassa elasticità della domanda e al branding. La vernice rappresenta una minima parte del costo complessivo di un lavoro di verniciatura, dove il costo della manodopera è la componente più consistente (circa l’85 per cento). Inoltre, SHW è il principale promotore del proprio marchio, mentre i concorrenti spesso si affidano ai grandi centri per la casa e ai distributori.

Le società di qualità operano con margini più elevati, quindi se l’inflazione rimane elevata i margini ne risentono decisamente meno. Tra il 1976-1982, periodo caratterizzato da un’elevata inflazione, i titoli di qualità hanno sovraperformato il mercato di 800 pb in media (Figura 7).

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Conclusioni

Nell’ultimo anno circa, esperti dei media e di Wall Street hanno discusso a lungo sulla possibilità di un cosiddetto “atterraggio duro o morbido” per l’economia statunitense. Non sappiamo quale scenario si materializzerà nei prossimi mesi, ma siamo certi che proteggere il capitale dai ribassi sia

Come sottolineato nel nostro recente white paper La «ricetta (non così) segreta» per costruire un buon portafoglio, investire in società che comprendiamo è uno dei nostri principi cardine. Piuttosto che affidarci alle analisi macroeconomiche per prendere decisioni di investimento o illuderci nella nostra capacità di prevedere il prezzo delle materie prime, puntiamo sulla selezione dei titoli e sulla protezione dai ribassi nel costruire portafogli.

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