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Jean-Louis Nakamura, Head of Vontobel Conviction Equities Boutique, condivide le sue riflessioni su come gli investitori dovrebbero avvicinarsi al cambiamento delle politiche economiche in Cina
A fronte dell’indebolimento della congiuntura, il governo cinese ha recentemente compiuto una serie di mosse politiche in linea con il suo impegno per sostenere l’economia, stimolare il mercato azionario e contenere la crisi immobiliare. Nel corso dell’estate abbiamo assistito a una serie di tagli dei tassi di riferimento e all’annuncio, il 28 agosto, di una riduzione dell’imposta di bollo sulle negoziazioni in azioni del 50 per cento, dallo 0,1 allo 0,05 per cento1.
Le autorità politiche sembrano essere ben consapevoli e sempre più preoccupate della dinamica deflazionistica in atto in settori chiave dell’economia cinese, ma non sono (ancora) disposte ad adottare l’approccio «whatever it takes» utilizzato nel 2008 durante la Crisi Finanziaria Globale e dalla maggior parte delle economie sviluppate durante la crisi del debito europeo e la pandemia di Covid-19.
L’attuale situazione riflette la totale ridefinizione del paradigma effettuata dalla Cina negli ultimi tre o quattro anni, la cui natura permanente e il cui impatto a lungo termine sugli investimenti non possono essere più ignorati.
Negli ultimi 25 anni la Cina ha registrato una straordinaria crescita del prodotto interno lordo (PIL) pro capite, attraverso il sostegno fornito a un’economia di mercato solida e quasi libera, favorita da ingenti investimenti in beni strumentali/infrastrutture finalizzati a incentivare l’intensificazione del capitale. Laddove necessario, ciò è stato accompagnato da politiche macro anticicliche ed estremamente coraggiose per spingere o raffreddare il ciclo economico. La rapidità e l’entità dell’aumento del PIL sono state trainate soprattutto da società private guidate da veri imprenditori. Fino a tre anni fa, le società pubbliche erano considerate l’anello debole della catena economica cinese.
Tuttavia, la rapidità di tale sviluppo ha prodotto anche conseguenze negative. Nuove significative sfide sono sorte in questo periodo, compresi uno squilibrio e un’eccessiva concentrazione della ricchezza, la nascita di conglomerati monopolistici e un indebitamento eccessivo, soprattutto a livello di imprese e governo locale.
Più specificamente: Terra, lavoro, capitale e imprenditorialità sono i quattro fattori che influenzano la produttività di un Paese e l’eccessivo accumulo di capitale fisso ne ha determinato un rapido rallentamento nel corso di questo periodo. Contemporaneamente, come illustrato dal grafico 1, la popolazione cinese è invecchiata molto velocemente, con un conseguente contributo negativo del lavoro alla potenziale crescita del PIL. Parallelamente, la facilità di accesso all’indebitamento e la scarsa regolamentazione dei servizi finanziari hanno alimentato il periodo di espansione e contrazione del mercato domestico 2014-2015, mettendo a rischio i risparmi dei cittadini «medi». Da ultimo, ma non meno importante, il drammatico bilancio ambientale di questo rapido sviluppo, incluso un aumento di otto volte delle emissioni di CO2 dal 2001 al 2022,2 continua a rappresentare un forte rischio ed è un tema con cui la Cina dovrà confrontarsi nei prossimi anni.
Soltanto all’inizio del suo secondo mandato il Presidente Xi Jinping, che ha assunto la presidenza nel 2013, ha segnalato il cambio del paradigma e delle priorità dello sviluppo a lungo termine della Cina. Nel discorso tenuto nel 2017 al XIX Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC), il Presidente Xi ha manifestato l’intenzione di ridefinire le priorità, passando da un’«apertura e riforme senza controllo» a una nuova era incentrata sull’eliminazione degli «squilibri dello sviluppo» – una risposta ad alcune delle sfide precedentemente menzionate, che ha introdotto il concetto di «prosperità comune»3.
Tuttavia, in assenza di una concreta traduzione in misure di politica economica, in un primo momento tale retorica è passata inosservata o è stata semplicemente ignorata. Sono serviti quasi tre anni perché il governo cinese iniziasse a inondare vari settori della «new economy» cinese di restrizioni e sanzioni. Tra queste: la caccia, ampiamente pubblicizzata, ai comportamenti «antisociali» presumibilmente promossi su social media, ad esempio Douyin e videogiochi come Tencent; l’improvvisa chiusura di servizi di istruzione online privati, come Tomorrow Advancing Life (TAL); le multe e altri provvedimenti imposti a piattaforme di dati (Ant financials/Ali pay/We pay) e servizi della gig economy (Baba, Meituan). Inoltre, le regole per l’acquisto di proprietà immobiliari e per l’accesso ai mutui sono state modificate, sostenendo che «le case sono fatte per vivere, non per speculare» – azioni che, a prescindere dall’intento, hanno portato direttamente alla crisi del mercato immobiliare a fine 2021.
Sul fronte della politica macro, i cambiamenti nella gestione dei rallentamenti ciclici sono stati più diffusi, anche se meno significativi, ma continuano a rappresentare una brusca inversione di tendenza rispetto alle precedenti politiche di Pechino. Ad esempio, in passato la «pozione miracolosa» per incrementare la produzione e la domanda a livello locale durante i minimi ciclici consisteva in una combinazione rapida e ben programmata di iniezioni di liquidità (attraverso tagli del coefficiente di riserva obbligatoria), tagli dei tassi di interesse di riferimento e significativi aggiustamenti fiscali, in termini sia di volume che di calendario, relativi agli esborsi per le quote di obbligazioni degli enti locali (cfr. grafico 2). In netto contrasto, negli ultimi anni le misure di sostegno adottate dalle autorità cinesi per contrastare i significativi shock esogeni ed endogeni dell’economia locale sono rimaste estremamente deboli. Cosa ancora più sorprendente, la drammatica decisione di chiudere completamente alcune delle più importanti città del Paese per evitare la diffusione dei contagi di Covid-19 nel 2022, mentre il resto del mondo stava imparando a «convivere con il virus», ha dimostrato chiaramente che gli obiettivi di crescita del PIL a breve termine erano stati ampiamente ridimensionati rispetto ad altre priorità sociali.
Economisti e strategist sono stati mediamente lenti a comprendere la portata e la natura persistente di tali cambiamenti. Inizialmente, molti sospettavano che riflettessero un cinico posizionamento politico in previsione del Congresso del 2022 per garantire il ruolo «visionario» del Presidente Xi e un terzo mandato senza precedenti. A posteriori, è possibile individuare i principali eventi scatenanti che potrebbero spiegare la spettacolare concretizzazione di nuove convinzioni, apparentemente ben radicate, condivise dal Presidente Xi e da alcuni dei suoi più stretti consulenti, da sempre impegnati a costruire un modello di sviluppo più sostenibile e inclusivo di quello occidentale.
Storicamente, il concetto di stabilità sociale è stato percepito da molti cinesi come la principale fonte di legittimazione della regola del PCC. Il fallito tentativo della Federal Reserve statunitense di normalizzare le condizioni monetarie e creditizie a fine 2018 avrebbe potuto gettare benzina sul fuoco per chi temeva di rimanere intrappolato in un’economia eternamente dipendente dalla liquidità, con un crescente disallineamento tra rendimenti finanziari ed economici, che avrebbe alimentato una crescita inarrestabile della disuguaglianza economica.
I dati economici deludenti pubblicati a inizio agosto, unitamente al nuovo indebolimento del settore immobiliare e al recente abbandono della politica Zero-Covid alla luce dei costi economici e sociali ormai fin troppo evidenti, hanno indotto molti a ipotizzare che la Cina sarebbe tornata a utilizzare alcune strategie economiche già impiegate negli ultimi vent’anni, scatenando un’ondata di significative misure che avrebbero determinato una marcia indietro sulla politica degli ultimi anni. La mossa più recente per impedire il crollo del settore immobiliare – ridurre i tassi sui mutui esistenti e inserire i precedenti debitori nell’elenco degli acquirenti di prime case (a condizione che abbiano venduto gli immobili precedentemente in loro possesso) – è stata già molto più coraggiosa delle misure di sostegno adottate negli ultimi 18 mesi.
Tuttavia, molti economisti sosterrebbero che tali misure sono ancora molto lontane dalle politiche radicali necessarie per far uscire l’economia cinese dall’attuale trend deflazionistico. Poiché non prevediamo un tracollo a breve termine della situazione interna della Cina, probabilmente alcuni dati economici che hanno registrato un peggioramento estremamente rapido negli ultimi mesi si stabilizzeranno o addirittura miglioreranno nel prossimo futuro. In tal caso, le autorità cinesi sarebbero ancora meno incentivate ad adottare un atteggiamento più aggressivo.
Soltanto un significativo rischio di destabilizzazione sociale, derivante da una profonda crisi sociale, potrebbe determinare un’inversione di tendenza dell’orientamento delle autorità politiche, anche se ciò appare improbabile nell’attuale scenario. Prendendo ad esempio l’elevato tasso di disoccupazione giovanile (21,3%, o addirittura 47% se si includono coloro che «non sono impegnati in un percorso di istruzione, lavoro o formazione (NEET)»4, la maggioranza degli appartenenti a questa categoria, che ha un’età compresa tra i 16 e i 24 anni, ha una laurea universitaria e riceve un aiuto economico dalla propria famiglia. Di conseguenza, molti potrebbero decidere di posticipare il loro ingresso nel mercato del lavoro e «sfruttare gli anziani» nel contesto del fenomeno del «lying flat». Ciò significa anche che difficilmente questi giovani saranno all’origine di disordini sociali, quantomeno nel breve termine. Tale situazione è in netto contrasto con il 2008, quando i lavoratori, insieme alla cintura manifatturiera orientale, organizzarono proteste di massa dopo aver perso il posto di lavoro. La Cina ha reagito con un piano di incentivi del valore di 4 mila miliardi di yuan (588 miliardi di dollari) per creare posti di lavoro per 20 milioni di lavoratori migranti stimati5.
A fronte degli scarsi incentivi ad abbandonare la sua dottrina politica, Xi Jinping non sembra intenzionato a cambiare rotta sul nuovo paradigma politico della Cina nel prossimo futuro. A marzo, il Presidente Xi ha formalmente iniziato il suo terzo mandato, un evento senza precedenti, dopo aver assicurato e consolidato l’equilibrio di potere e l’influenza all’interno del PCC al XX Congresso Nazionale dello scorso ottobre. In questa fase, con il potere saldamente nelle mani di Xi, soltanto una fonte di instabilità sociale potrebbe innescare un ripensamento dell’attuale orientamento ideologico. E, come ho detto prima, ciò appare alquanto improbabile.
Ma allora come dovrebbero avvicinarsi gli investitori al cambiamento delle politiche economiche in Cina? È fondamentale che capiscano, accettino e si adeguino al nuovo paradigma, tenendo conto di quattro principali implicazioni macro e micro:
In risposta alla crescente domanda globale, ma accanto ai suoi timori legati al clima, la Cina rimarrà alla guida di molte future società leader a livello mondiale nella transizione verso l’IA/energetica. Tuttavia, comprendere la conduttività tra aumento delle vendite, utili, rendimenti azionari e dimensioni attuali potrebbe essere più complesso rispetto al passato.
I premi di crescita non risiederanno più nel beta del mercato, ma potranno essere individuati nella capacità di selezionare i futuri vincitori, nel settore economico giusto e con una posizione che potrebbe fornire protezione da interferenze politiche imprevedibili. In un’economia che cresce più lentamente, gli investitori – soprattutto quelli nazionali dominati dal settore retail – andranno alla ricerca di società a più rapida crescita. Il punto fondamentale è che è meglio accettare e capire le attuali politiche del PCC: i futuri vincitori saranno individuati nelle tematiche sostenuti dalla politica, ma l’attenzione deve rimanere concentrata su redditività e sostenibilità, poiché incentivi e favori politici potrebbero tradursi in un regolare eccesso di capacità o in una guerra dei prezzi.
Altri settori affronteranno una dinamica di crescita inferiore o il rischio di continue interferenze da parte del governo, mentre le società pubbliche registreranno flussi di cassa piuttosto stabili e la qualità degli utili sarà sempre preferita alle società private che offrono rapidi guadagni. Le società pubbliche hanno ampiamente sottoperformato nel mercato delle A-share nel decennio 2011-2020 (rendimento totale del 12 per cento, contro un rendimento di 2,5 volte superiore conseguito dalle società private) ma hanno messo a segno uno straordinario recupero da inizio 2021, con una performance media superiore al 20 per cento, mentre le società private hanno subito un pesante declassamento di oltre il 50 per cento8.
Come accennato prima, la dimensione deve essere valutata in modo diverso rispetto al passato, poiché potrebbe rappresentare addirittura un fattore di sconto in settori non sostenuti dalla politica. Le autorità continueranno a contrastare i comportamenti percepiti come predatori. In settori a rapida crescita, come quello tecnologico, agilità e capacità di innovazione all’interno di un gruppo ben identificato potrebbero rivelarsi due criteri di qualità più solidi e persistenti. Anche liquidità e capacità di finanziamento a prescindere da banche e mercati dovrebbero essere due fattori maggiormente discriminanti.
A nostro avviso, se gli investitori riusciranno a selezionare le società vincenti in questo nuovo regime politico, investire in Cina potrebbe rivelarsi addirittura più remunerativo rispetto al passato, soprattutto considerando la minore volatilità/maggiore diversificazione, con il resto dell’ecosistema globale legato al segmento del mercato azionario cinese protetto dall’interferenza politica e dal rischio geopolitico. Tuttavia, anche in questo caso, gli investitori devono seguire, capire e adeguarsi al nuovo paradigma.
Infine, gli investitori globali potrebbero avere una crescente necessità di personalizzare l’allocazione alla Cina, che, da molti punti di vista, può essere considerata come eccessivamente elevata o eccessivamente contenuta negli indici globali o emergenti. L’accesso facilitato a soluzioni Emergenti (Cina esclusa), unitamente a strategie di investimento orientate soltanto alla Cina e/o ai titoli A cinesi, può rispondere a questo obiettivo strategico9.
1.
https://www.ft.com/content/29166593-aece-423d-a62b-584079d7d21b
2.
China Carbon (CO2) Emissions 1990-2023. www.macrotrends.net. Ripreso il 25 settembre 2023.
. www.macrotrends.net. Ripreso il 25 settembre 2023. .
3. Cfr. «Xi Jiping, the rise of ideological man, and the acceleration of radical change in China», The Hon. Dr Kevin Rudd AC, Asia Society Policy Institute, 24 ottobre 2022.
4.
https://www.bloomberg.com/opinion/articles/2023-07-23/china-s-actual-youth-unemployment-is-a-lot-higher
5.
https://www.bloomberg.com/opinion/articles/2023-07-23/china-s-actual-youth-unemployment-is-a-lot-higher
6.
https://www.bloomberg.com/news/articles/2023-09-05/china-slowdown-means-it-may-never-overtake-us-economy-be-says
7.
https://en.ndrc.gov.cn/news/mediarusources/202202/t20220218_1315947.html
8.
https://www.premia-partners.com/insight/china-soes-the-journey-to-extract-values-from-the-re-rating-and-revaluation-trajectory
9.
https://am.vontobel.com/insights/the-china-paradox-underrepresented-or-too-dominant-in-emerging-market-equities